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Don Silvio Galli prete delle Beatitudini

Eventi relativi Don Silvio Galli

Presentazione libro don Galli
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Presentazione libro Don Silvio Galli prete delle BeatitudiniDon Galli: un nome che subito ci richiama un prete e insieme i poveri. Dio ama i poveri. Interessante che nell’antica o prima alleanza i poveri erano i sacerdoti appartenenti alla tribù di Levi, una tribù che non aveva terra e dipendeva dalle offerte altrui. Il sacerdote, figura divina per eccellenza, è anche figura del povero che non possiede nulla.

«Io non sono che un povero prete, non ho altro che la veste sacerdotale che indosso. Meraviglia anche me che tutte le persone afflitte da problemi, a volte irrisolvibili, si rivolgano a me. Do la mia benedizione anche alle loro famiglie, poi le mando via con la convinzione che se pregheranno e lo faranno con fede i loro problemi si risolveranno».

Proprio perché sacerdote, proprio perché povero, don Silvio diventa segno dell’amore Dio che ama i poveri e li difende. Toccato e trasfigurato dall’amore di Dio don Galli, decide nel suo cuore per Dio e per i fratelli che Dio ama.

«Io sono solo un sacerdote che prega, le grazie le fa Gesù per intercessione della Madonna».

Con gli opportuni cambi, per le situazioni diverse in cui si troverà, questo sarà il programma di tutta la sua vita. Don Silvio gli sarà sempre fedele. In germe è annunciato un tema che sarà ricorrente nella storia personale e nel ministero di don Silvio: l’abbandono in Dio e la fiducia filiale in Maria:

Alle tante persone che si rivolgevano a lui disperate Don Silvio dava speranza in Dio, nella Madonna: «Ci penserà Lei, pregala! Anch’io la pregherò per te». Invitava ad avere sempre fede perché Dio avrebbe provveduto a non lasciarci vincere dalla disperazione, perché «anche i capelli del nostro capo sono contati». Dio non ci abbandona mai. Piuttosto chiedeva come andava la loro preghiera, la messa, la confessione, il rosario perché era necessario aprirsi alla Grazia di Dio per ottenere un aiuto da Dio stabile e non una grazia momentanea. Le persone trovavano conforto e tendevano a ritornare da lui che le accoglieva e sempre le invitava a una vita di preghiera costante pur sapendo le difficoltà iniziali che incontravano. Quando si ammalò molti dicevano: «Come faremo senza di lui?». Il Don però non voleva questa dipendenza ma che tutti imparassimo a rivolgerci a Dio direttamente. Nei primi momenti, come una madre allatta il bambino e lo tiene in braccio era normale ma poi voleva che camminassimo con le nostre gambe guardando Gesù e Maria, era fermo in questo per il nostro bene: «Io sono solo un sacerdote che prega, le grazie le fa Gesù per intercessione della Madonna».

La fede di don Silvio è il suo affidarsi e fondarsi in Dio, attraverso l’affidamento a Maria, come la donna orientale che in una striscia di tessuto passata sulla schiena avvolge il suo bambino. Il contatto con la madre è sicuro, il bambino ne avverte il calore, il respiro, il pulsare del suo cuore. Anche se la donna si muove, cammina, lavora il bambino è sempre al sicuro. La fede di don Silvio è come una colonna forte e sicura e insieme un affidamento fiducioso e filiale soprattutto nelle ore di prova, nei tempi e momenti di tribolazione: è un affidamento, una consegna, un’adesione a Gesù e a Maria.

La fede in Dio fatta di confidenza fiduciosa, di fedeltà al suo amore si traduce in carità e giustizia.
Per la sua fede profonda e autentica in Dio, il suo cuore è ricco di compassione verso i fratelli

– nell’accoglienza e nell’ospitalità: azioni vitali; sentirsi accolti è sentirsi riconosciuti, sperimentare di avere sempre e comunque una dignità (come una moneta che anche caduta nel fango non perde la sua preziosità e il suo valore); ospitalità: è superare la tentazione di difesa e di ostilità che spesso alberga nella nostra mente (pensieri) e nel nostro cuore (sentimenti) per aprirsi come un grembo materno alla vita che sempre deve rinascere e venire alla luce.

La corsa dei disperati

Passa di voce in voce la notizia che a San Bernardino c’è un posto di nuova ospitalità per il povero. Si danno appuntamento: chi ha fame, chi non ha casa, tossicodipendenti, alcolisti, zingari, malati di mente, ex carcerati, emarginati. Non è solo fame di pane, ma di ascolto, di comprensione e di aiuto per tornare a sentirsi uomini: non emarginati, ma amati.
L’accoglienza trova le vie misteriose del cuore. «I poveri ce li manda la Madonna», dice don Silvio ai primi collaboratori e volontari, perciò l’accoglienza è sempre attenta e premurosa. Per lui tutti sono fratelli e sorelle, mandati da Maria. E il suo tempo è per tutti e ciascuno. Talvolta don Silvio va incontro all’ospite; quando sono molti, si aspetta invece il proprio turno fuori dallo studio, un piccolo ufficio che nel tempo diventerà “Betania” che ospita e accoglie, casa che consola e ridà speranza, casa di preghiera e di misericordia. Non tutti si aprono al dialogo, ci vuol tempo e pazienza per abbattere il muro della diffidenza.

Così un confratello ricorda quei tempi eroici:

Don Galli mi diceva sempre: «Stai attento alla corsa dei disperati». Quasi tutte le mattine, anche negli anni ’60 e ’70, non c’erano ancora extracomunitari, però c’era quasi sempre un numero molto variabile di disperati: zingari, abbandonati, gente povera che magari aveva dormito in stazione, allora la stazione era aperta, nel locale di attesa. Don Galli mi diceva: «Apri in fretta perché c’è la corsa dei disperati». E questi disperati correvano verso un angolo del nostro cortile, dove attualmente c’è l’ufficio del curato della Chiesa. C’erano un vecchio divano, due poltrone e qualche sedia, un fornello. Don Galli era lì a preparare il tè, magari del latte caldo, dei panini con bresaola o prosciutto. Ma la corsa dei disperati non era tanto per il mangiare qualcosa: ce ne era per tutti, ma perché i primi che arrivavano si sdraiavano sulle due poltrone o sulla specie di divano che c’era. Più che fame e sete avevano bisogno di sonno, di riposarsi un momento. Non è che potessero dormire lì, però potevano riposarsi un momento. Ed erano veramente stanchi: «Apri perché c’è la corsa dei disperati». Quante volte, specialmente negli anni ’70, ci trovavamo insieme a far colazione al mattino. Metteva in tasca un’arancia, dei panini, dei cioccolatini, alcune marmellatine. «Beh! Cosa vuoi… è per i poveri! Ne hanno veramente bisogno».

È un’accoglienza che nulla chiede in cambio; è un’ospitalità aperta come una tenda su quattro lati senza limiti di tempo, di risorse, di forze, di amore. Porte aperte con una generosità senza limiti

– nella ricerca della pace: Don Galli incarna in forma eloquente l’amorevolezza salesiana, quell’amore attento e premuroso che crea corrispondenza:

Le nostre sofferenze diventavano sue, se le caricava sulle spalle e con quel peso addosso ci consolava. Quante volte piangeva come un bambino davanti ai nostri problemi e questo mi induceva a diradare le visite; non sopportavo vederlo soffrire in quel modo per me, non potevo comunque rinunciare alla sua forza e alla pace che invadeva la mia anima al semplice tocco della sua mano sulla mia testa, era balsamo sulle ferite.
Sempre sofferente ma accogliente, ricordo un caldo giorno d’estate, a Chiari si soffocava, e lui sprofondato nei cuscini a causa del crollo delle vertebre, con la flebo al braccio, era lì a ricevere tutti, nonostante i suoi collaboratori tentavano di dissuaderlo.
Per lui erano tutti fratelli e sorelle, nessuno era diverso, lui amava tutti indistintamente e accoglieva tutti con lo stesso calore e lo stesso amore, non mandava mai via nessuno, qualunque fosse il suo stato di salute o la quantità di persone che doveva vedere, ed eravamo sempre tanti. Lui incarnava veramente l’amore di Dio per i fratelli, era colmo di compassione, di carità, di misericordia verso chiunque ne avesse avuto bisogno. Don Silvio era il respiro di Dio.

Quante volte don Galli dice – come Gesù alla vedova di Naim –: «Non piangere» (Lc 7,13). A tante persone, a tante madri e padri asciuga le lacrime, ridà speranza, fa risorgere il sole della pace e della gioia. Quante persone, che entrano nel suo ufficio piangendo, ne escono consolate e rappacificate, come dice il salmo: «Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni» (Salmo 125[124], 6).

Nel dicembre 2006 mi è stato diagnosticato un tumore e mia madre veniva a Chiari da don Galli con la mia fotografia e chiedeva di pregare per la mia guarigione. Mia madre era disperata e quando incontrava don Galli piangeva per il dolore che provava per questa mia malattia. Don Silvio Galli la rassicurava, le diceva di non piangere perché io sarei guarita.

Con l’aiuto di una parente di mia madre sono andato a visitare don Silvio Galli. Ricordo ancora quel giorno come se fosse oggi: sono entrato nell’ufficio di don Silvio ho incrociato il suo sguardo e ho visto la mia immagine (o la proiezione della mia figura) che inveiva contro don Silvio; il tutto è durato non più di qualche istante. Ho percepito subito un forte senso di colpa e contrizione; sono scoppiato in un forte pianto che non riuscivo a controllare: mi sono inginocchiato davanti a lui. Mi disse di non piangere che non era successo nulla; mi consolò per qualche momento e mi fece accompagnare subito da don Piero per confessarmi. Andai da don Piero singhiozzando e gli raccontai un po’ tutto quello che combinavo; mi diede l’assoluzione. Tornai da don Silvio che mi riaccolse in maniera molto amorevole. Recitammo qualche Ave Maria assieme; mi diede la benedizione e ci salutammo molto cordialmente.

– nel tentativo di salvare i peccatori

Don Galli incarna l’amore misericordioso di Dio che non giudica e non condanna, ma cerca sempre di salvare l’uomo, andandolo a cercare come il pastore con la pecora perduta e facendo sempre festa ogni volta che la trova e la riporta all’ovile. È missionario di quella misericordia che si esprime nella carità effettiva per il prossimo, nella compassione che comprende, assiste e promuove:

Colpiva la sua coerenza, il volere vivere il messaggio di Cristo in modo radicale. Non si risparmiava mai, ma ascoltava tutti, senza badare né ad orari né a stanchezza. Accogliere tutti per portarli a Dio, non giudicare nessuno: questo era quello che sembrava lasciar trasparire dal suo comportamento. Non faceva però mai sconti sul comportamento che doveva essere del cristiano autentico.

Quando l’abbiamo conosciuto, nel 1988, era più mio marito che ha colto questo invito a seguire i momenti di preghiera e quello che ci proponeva. Io ho fatto un po’ di resistenza, perché non ero ancora pronta. Mi ha conquistato prima di tutto la sua umiltà, il suo modo di accogliere le persone così com’erano, senza giudizio, proprio come fa, penso, un papà buono. Penso a lui come fa un papà che non lascia andare via nessuno dei suoi figli. Infatti mi ha conquistato, mi ha preso proprio per mano, mi ha toccato il cuore, e pian piano sono riuscita ad accettare anche la preghiera e la fatica dell’impegno.

– nella rinuncia che apre alla verità dell’essere e della vita
Si realizza nel tempo un cammino di verità che are don Silvio ad una esperienza profonda della fede pasquale, del mistero del Cristo morto-risorto, che lo rende capace di una paternità nella fede e nell’amore, nella fecondità rigeneratice dello Spirito
A coronamento annota: «Gesù sono tuo e mi abbandono tutto a Te. Niente più voglio, niente più desidero per me. Voglio far tutto per amore tuo. Pensaci tu. Rinuncio a tutto, anche ai desideri più santi, anche al sacerdozio, se così piace a te».

Una forma eccelsa di giustizia è riconoscere le proprie colpe. Don Galli, come vero figlio della Chiesa, chiede perdono delle colpe e degli scandali che la feriscono, offre la sua sofferenza in riparazione, intimamente soffre. Tutto questo apre le vie inedite dello Spirito che di fronte a testimonianze autentiche di santità apre i cuori alla conversione:

Qui con don Galli ho imparato veramente tanto. Ad esempio, c’era qualche confratello che lo offendeva davanti a me. Lui, per la paura che io pensassi male, mi prendeva per il braccio, mi portava di sopra, in cappellina e mi diceva: «Adesso chiediamo scusa al Signore di aver urtato quel confratello e di averlo messo in condizioni di arrabbiarsi, perché quando vediamo un nostro fratello peccare dobbiamo dire: mia colpa, e chiediamo scusa anche dei pensieri negativi che tu puoi aver avuto».

Ci bisticciavo, anche, con don Galli, perché non è mica facile stare vicino a una persona esigente come era lui. Ma lui non è che esigeva da me, esigeva proprio da se stesso, perché rinunciava… e io restavo coinvolta. Se magari mi arrabbiavo e gli dicevo: «Guardi don Galli mi ha fatto arrabbiare», allora lui chiamava il suo confessore, dopo un po’ mi diceva: «Io mi sono confessato, che ti ho fatto arrabbiare. Adesso ti chiedo scusa». Rispondevo: «Dai, don Galli, non faccia così che dopo mi sento in colpa». Però lo faceva, mi chiedeva scusa.

Una storia di vita: don Silvio uno di noi1

Salesiano di don Bosco: “Una voce misteriosa parla al mio cuore”

Alla fine della quarta ginnasio, nella festa di Maria Ausiliatrice del 1942 il giovane Silvio presenta la domanda per essere ammesso al noviziato come salesiano di don Bosco. Scrive: «Oh quanto desidero ciò! A questo mi stimola una voce misteriosa che parla al mio cuore, una forza pure misteriosa che mi spinge sempre di più a Dio, una grande pace che mi dice quanto sia bello e quanto sarà ancor più bello servire Dio. Non comprendo la grandezza di questa duplice grazia che Dio mi ha fatto. Mi sento però tanto indegno. Quindi mi raccomando caldamente alle vostre preghiere affinché lo Spirito Santo mi dia in grande abbondanza i suoi doni e Maria SS. Ausiliatrice mi guidi e mi aiuti a raggiungere la meta tanto sospirata e così salvare poi tante anime». Dopo la firma in nota aggiunge: «Spero che accetterete la mia domanda e così realizzare il mio sogno».2 Un giovane di soli 14 anni che animato dallo Spirito guarda al futuro, da autentico discepolo di Don Bosco, come un sogno da realizzare.
La domanda viene pienamente accettata.
Nella documentazione che accompagna il novizio il papà Giuseppe dichiara di acconsentire molto volentieri. Il parroco don Giovanni Redaelli ne loda la “buonissima” condotta, il carattere “felicissimo” e attesta che si accosta quotidianamente alla santa comunione. Il suo direttore don Luigi Besnate rileva che ha fatto la quarta ginnasio ed è stato promosso bene, aggiungendo: «Buono, di grande pietà; in qualche manifestazione della pietà va corretto o meglio moderato. Ebbe un manifesto desiderio di farsi salesiano fin dalla prima ginnasio».3
Il 10 settembre 1942 entra nel noviziato salesiano di Montodine, vicino Crema, sotto la guida sperimentata del Maestro don Luigi Vieceli. Il 20 giugno 1943, festa della SS.ma Trinità, presenta la domanda per poter emettere la prima professione, che farà il successivo l’11 settembre. Così scrive al direttore:

«Sono ormai giunto al termine del mio anno di prova. Durante questo tempo mi sono sforzato di studiare me stesso, di praticare le regole e di mettere le basi delle virtù caratteristiche del buon salesiano. Pertanto, dietro parere del mio direttore spirituale, faccio umile domanda d’essere ammesso, in qualità di chierico alla prima professione triennale nella Società di S. Francesco di Sales. Fiducioso che il Signore m’aiuterà ad essere sempre fedele alle mie promesse, spero che la mia domanda verrà accettata. Credetemi in Corde Jesu».

Rinnoverà la professione a Milano nel 1946 con la volontà di «vivere sempre ed unicamente per Lui [il Signore]»;4 e farà quella perpetua a Montodine il 16 agosto 1949. Questo il giudizio che accompagna la sua professione perpetua: «Chierico di esemplare vita religiosa. Attivo e diligente nel compimento dei suoi doveri di assistente e insegnante. Salute alquanto precaria».5
Segue il liceo classico nello studentato di Nave (Brescia) e il tirocinio pratico a Varese.
È del 1946 l’unico quaderno riservato di questo periodo che non andò smarrito, a differenza degli altri, confusi con quelli di uguale formato contenenti appunti dell’università e dei diversi trattati di teologia; don Silvio è ancora chierico e il quaderno si apre con la seguente giaculatoria: «Sacro Cuore del mio Gesù, credo al tuo amore per me. Sacro Cuore del mio Gesù, mi abbandono tutto al tuo Amore. Sacro Cuore del mio Gesù, racchiudimi nella ferita del tuo Amore». Un incipit che racchiude i presupposti fondamentali del suo cammino: umiltà, confidenza, carità verso i giovani e i confratelli. Poi, sotto forma di colloquio con Gesù, parlando a lungo dell’umiltà, si autodefinisce «Silvio il peccatore, il più misero di tutti gli uomini, da non essere tenuto in considerazione da nessuno».
Trattando della confidenza, rileva «che Gesù perché già misero vuole darti le grazie più grandi, vuole amarti tanto, con un amore di predilezione, vuole vivere per te e con te, quasi che non possa stare senza di te. Coraggio». Parlando di carità verso i superiori, li vede come un’immagine viva di Gesù. Riguardo ai confratelli, amando l’ultimo posto si impegna a usar loro deferenza e a rimettersi al loro giudizio e ai loro gusti. Nei giovani vede i prediletti di Gesù, degni delle carezze di Gesù, del suo amore più intimo. Passa poi a parlare dei diversi momenti della giornata e dei suoi atteggiamenti: levata, meditazione, comunione, refettorio, notte, assistenza in studio, a passeggio. Conclude con il buon esempio e la pratica dei voti: povertà, bella virtù [cioè castità], obbedienza, carità, mortificazione, umiltà. A coronamento annota: «Gesù sono tuo e mi abbandono tutto a Te. Niente più voglio, niente più desidero per me. Voglio far tutto per amore tuo. Pensaci tu. Rinuncio a tutto, anche ai desideri più santi, anche al sacerdozio, se così piace a te». È un programma di santità. Fin dai primi momenti della giornata: «Con un bacio alla Mamma, protestale tutto il tuo amore e dille che presenti Lei a Gesù la tua offerta e che benedica i tuoi ragazzi». E durante l’assistenza in camera: «La corona del Rosario in mano e la mente fissa sul Sacro Cuore di Gesù».
Don Galli fin da giovane salesiano ebbe una salute precaria, che condizionò il suo cammino vocazionale e formativo in diverse occasioni. Questo però non costituì mai un impedimento a perseverare con determinazione nel proposito di essere sacerdote. Nel corso degli anni verrà più volte ricoverato in ospedale, dovrà subire interventi chirurgici, sottoporsi a diverse cure, ma sempre animato dalla forte volontà di continuare nella missione di essere segno di consolazione e speranza per tanta gente, che a lui ricorrerà con fiducia.

1 Per questa parte cfr. G. Zanardini, Don Silvio Galli, segno e portatore dell’amore di Dio, Velar, Gorle 2015. Cf. inoltre la Lettera scritta in occasione della morte di don Galli.
2 Dalla domanda di ammissione al Noviziato del 24 maggio 1942.
3 Verbale per l’ammissione al Noviziato del 3 luglio 1942.
4 Dalla domanda per il rinnovo della professione del 24 maggio 1946.
5 Verbale per l’ammissione alla Professione perpetua del 29 giugno 1949.

Alla scuola del Maestro: don Silvio prete delle Beatitudini6

Il popolo delle Beatitudini

In termini generali, la santità è il modo di essere di Dio; la sua rivelazione si realizza nel modo di essere di Gesù e Gesù la presenta e la inaugura per noi nel Discorso della montagna (Mt 5-7), anzitutto nella proclamazione delle Beatitudini. Esse sono infatti la “carta d’identità del cristiano” perché danno l’“identikit” di Gesù. Papa Francesco osserva: «La parola “felice” o “beato” diventa sinonimo di “santo”, perché esprime che la persona fedele a Dio e che vive la sua Parola raggiunge, nel dono di sé, la vera beatitudine» (GE 64). Essere santi, in parole povere, è essere partecipi della gioia di Dio.

Questo significa non dare per scontato cosa sia la santità, ma comprenderla col Vangelo in mano, entrando in contatto con Gesù e propiziando la relazione con Lui. Dice infatti il papa: «Ci possono essere molte teorie su cosa sia la santità, abbondanti spiegazioni e distinzioni. Tale riflessione potrebbe essere utile, ma nulla è più illuminante che ritornare alle parole di Gesù e raccogliere il suo modo di trasmettere la verità. Gesù ha spiegato con tutta semplicità che cos’è essere santi, e lo ha fatto quando ci ha lasciato le Beatitudini» (GE 63).

Lo spunto spirituale che ne deriva è un vibrante invito a mettersi realmente in gioco nel cammino della santità. I santi sono icone della Pasqua di Cristo che rimandano a Lui. È vero che le Beatitudini sono regole di felicità, ma esprimono una logica distante e contraria alla logica del mondo: il Regno di Dio è ben altro dai regni di questo mondo. Non c’è santità senza conversione, perché noi, pur attirati dal bene, ci lasciamo spesso risucchiare dal male, e solo la grazia di Dio ci può confermare nella via del Vangelo, superando la fragilità della nostra natura umana, attraverso la potenza dello Spirito: «Le Beatitudini in nessun modo sono qualcosa di leggero o di superficiale; al contrario, possiamo viverle solamente se lo Spirito Santo ci pervade con tutta la sua potenza e ci libera dalla debolezza dell’egoismo, della pigrizia, dell’orgoglio. Torniamo ad ascoltare Gesù, con tutto l’amore e il rispetto che merita il Maestro. Permettiamogli di colpirci con le sue parole, di provocarci, di richiamarci a un reale cambiamento di vita. Altrimenti la santità sarà solo parole» (GE 65-66).

Anche la vita di don Galli si caratterizza per essere una testimonianza «contro corrente» rispetto alle logiche del mondo. Tante volte le sue parole, i suoi gesti, il suo modo di essere e di agire sono forte provocazione che scuote le coscienze, pone interrogativi, spinge a cambiare stili di vita, avendo egli voluto condividere la povertà di Gesù, rispetto ad una cultura segnata dal consumismo e dalla ricerca del benessere esclusivamente materiale. Senza tanti proclami, con l’eloquenza della vita egli fa la scelta evangelica di essere povero e di servire i poveri nel nome di Gesù. I poveri restano i suoi destinatari, contro ogni forma di “scarto” e indifferenza:

Ciò che lui amava e desiderava sottolineare erano le virtù che vedeva specialmente nei poveri che incontrava: una mamma che mangiava ogni due giorni col suo bambino, ma dimostrava pazienza verso la sua situazione, chiedeva aiuto ma con compostezza, senza lamentarsi con Dio; una persona molto malata che si preoccupava più per i figli che della sua vita. E don Silvio si faceva carico con la preghiera di questi fratelli che sentiva più vicini come fossero la sua famiglia. Umili e miti, pazienti, afflitti e puri di cuore, misericordiosi e perseguitati. Li amava tanto e riconosceva il Gesù crocefisso che portava la croce attraverso loro per la salvezza dell’umanità. Il popolo delle Beatitudini, il popolo di Dio. E diceva: «Questi sono i veri grandi della Chiesa e del mondo, considerati ultimi, poveri, sono i fratelli di Gesù». Viceversa era fermo contro le deviazioni del cammino spirituale, le esaltazioni per i doni spirituali e il miracolismo fine a se stesso col rischio demoniaco di far crescere l’orgoglio spirituale e le gelosie, invidie, senza cogliere il vero significato dell’Amore di Dio.

Le beatitudini sono come perle di una collana che nella vita di ognuno di noi brillano di una luce unica a seconda della nostra conformazione al volto radioso del Signore Gesù, unico Maestro. Così possiamo leggere e comprendere qualcosa della vita di don Galli alla luce delle beatitudini. Quelle parole nella vita dei santi diventano gioiose, beate come quando furono pronunciate da Gesù sul monte. In questa luce la vita di don Silvio risplende come opera dello Spirito, realizzatasi nell’incontro e nella sequela del Signore Gesù, e nella testimonianza di una piena e filiale fiducia nel Padre di ogni dono. Don Silvio è stato un profeta che ha incarnato con la sua vita la spiritualità della misericordia e la scelta degli ultimi tra gli ultimi, gli emarginati dalla società, e ha aperto il suo cuore ricco di compassione a tutte le povertà spirituali del nostro tempo.

Don Silvio ha esercitato una viva paternità spirituale, in stile tipicamente salesiano. Almeno il don Silvio degli ultimi decenni – quello dell’Auxilium e di ciò che lo ha preceduto – non si è tuttavia rivolto al mondo dei giovani o esclusivamente dei giovani, ma al mondo degli ultimi. Ha rimesso in piedi soprattutto giovani adulti o adulti, segnati e feriti in vario modo dalla vita. In qualche modo li ha riabilitati alla vita, e alla vita di fede. Don Silvio è andato a prendere anche i meno giovani e ha regalato loro una seconda giovinezza perché li ha aiutati a incontrare il Signore e a riconciliarsi con lui.

Aveva un “filo diretto” con Dio; una persona speciale che ha donato agli altri tutta la vita, un vero padre spirituale che quando lo incontravi ti rimetteva in careggiata, ti ridonava serenità e pace.

Ho attraversato un periodo difficile, brutto. Ne accenno a D. G. che mi dice con forza: «Bambina mia, sono io il Padre della tua anima. Ascolta…». Rido sotto i baffi per quel “Bambina mia” (ho quasi 80 anni) ma avevo proprio bisogno che dicesse così. Torna la tranquillità. Quando chiedo consiglio o parere, non c’è bisogno di spiegazioni: già conosce ogni cosa e risponde chiaro, conciso, sicuro.

Nelle sue parole, nei suoi scritti, lettere, biglietti augurali, esprime il suo affetto per le singole persone e per le loro famiglie, assicurando il ricordo nel sacrifico della Messa e nell’affidamento a Maria Ausiliatrice. A tante persone chiedeva l’elenco nominativo dei parenti, che ricordava nelle sue preghiere. Ricordava con facilità i nomi delle persone che a lui facevano ricorso per un consiglio, un sostegno morale, spirituale, economico; ma il più delle volte conosceva il nome delle persone come se li leggesse sulla loro fronte. Numerose famiglie hanno beneficiato delle sue preghiere, del suo esempio e dei suoi illuminati consigli. Di tante persone anche a distanza di anni ricordava i nomi, le storie personali, i problemi con una vivacità di particolari e di dettagli davvero sorprendenti e umanamente difficilmente spiegabili.

Ero andata in pellegrinaggio a Roma per l’anno santo 1984 ed avevo portato con me due carissime amiche per far loro incontrare don Silvio, appena don Silvio le vide disse: il tuo nome è — e ti fai chiamare —. In verità il suo vero nome era —. Ma questi episodi capitavano spesso. Don Silvio sapeva già il nome e l’intimo delle persone che si presentavano da lui. Sì, don Silvio conosceva soprattutto i cuori e le coscienze ma non sempre per il dono della veggenza ma per la sua santità.

6 In questa parte si far riferimento all’Esortazione apostolica di Papa Francesco Gaudete et exsultate, Sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, del 18 marzo 2018.

Fama di santità e di segni

Oltre a qualificate attestazioni della fama di santità, e per lo più intrecciate ad esse, sono pervenute alla Postulazione anche segnalazioni della fama di segni. Le grazie segnalate per intercessione di don Galli – sia prima sia dopo la sua morte – rientrano negli ambiti di: incolumità/scampato pericolo, guarigione fisica, guarigione psichica, guarigione morale e spirituale, “interventi speciali” e grazie di vario genere.
In questi primi mesi di animazione/valutazione della Causa e dei suoi presupposti, si è assistito inoltre a un parallelismo tra l’atteggiamento che le persone avevano verso don Silvio quando accorrevano a lui e l’atteggiamento che hanno ora per don Silvio quando la Postulazione ha chiesto di poter raccogliere alcune testimonianze. La gente viene per testimoniare, e lo fa in modo vivo, concreto: raccontando – per così dire – le persone riaffidano la propria vita, fanno memoria grata, si commuovono.
Certo la fama di santità di don Silvio Galli era inequivocabile già in vita:

Incontriamo Don Silvio negli anni ’80 nella chiesa di San Bernardino a Chiari, a quel tempo mio figlio — aveva 8/9 anni (oggi 42), dopo aver colloquiato con lui prima di salire in macchina si rivolge a mio marito tirandolo per il lembo della giacca dicendogli “Babbo, ma lui non è un prete… è un Santo”.

Era il lontano 26 febbraio 1999 alle ore 17:30 quando stavo per essere schiacciato da un tir sulla rotonda di Ghisalba. Invocai prima la Madonna gridando Salve Regina e poi don Galli. A quest’ultima invocazione il tir frenò immediatamente. Scesi illeso.
La mattina seguente don Galli in fondo alla chiesa mi disse: ti stavo aspettando, ero molto preoccupato per te, cosa ti è successo?
Gli risposi che alla prima invocazione la Madonna non arrivava e preoccupato di volare in Cielo schiacciato da un tir invocai anche lui che arrivò subito.
Don Galli mi riprese e mi disse: la prossima volta che ritorni a casa dal volontariato in Auxilium se io non ci sono per darti la benedizione, passa in Chiesa a fare un saluto dalla Madonna, cosa che hai mancato di fare il pomeriggio dell’incidente.

La fama di santità e la cospicua fama di segni che aveva accompagnato don Galli già in vita trova poi conferma al momento della morte e continua dalla morte ai nostri giorni: in quasi 8 anni, vengono per esempio raccolti quaderni di grandi dimensioni, fitti di richieste di intercessione e resoconti di grazie scritti da chi va presso la sua tomba al cimitero di Chiari, quaderni cui continuano ad aggiungersi altre – numerose – segnalazioni di grazie. Resta inoltre attiva, come lo è ancora oggi, l’esperienza di assistenza delle povertà da lui voluta e affidata all’Auxilium, segno di come molto di quello che egli aveva insegnato e trasmesso sia rimasto vivo e abbia una sua fecondità anche a distanza di tempo.

In tale contesto – nel quale le persone hanno chiesto di rilasciare una testimonianza su don Silvio Galli come segno di gratitudine per il bene da lui ricevuto – sono emersi i tratti salieni della spiritualità di don Galli e una certa fenomenologia mistica, riferita sorpattuto alla scrutazione dei cuori, alla preveggenza e ad alcune altre manifestazioni.
Tale singolare “fenomenologia”, pur al variare dei contesti e degli interlocutori, presenta sempre alcune caratteritiche di fondo:

• Interviene nella normalità del quotidiano, che per don Galli significa anzitutto fedeltà ai propri doveri di sacerdote e religioso: preghiera del Breviario («Se le persone gli prendono tutto il tempo, lui diminuirà quello già scarso del sonno»); amore alla Parola di Dio; celebrazione eucaristica per lui sempre intensa, amorosa e trasfigurante; sacramento della Riconciliazione, cui egli per primo ricorre in modo assai frequente, con grande fedeltà; tenera e solidissima devozione mariana.

• È orientata tutta ed esclusivamente all’esercizio del ministero pastorale e al bene delle anime, nel dinamismo salesiano del Da mihi animas, caetera tolle: per esempio egli scruta i cuori durante la Confessione; oppure alcune predizioni – che puntualmente si verificano – hanno per effetto di incoraggiare, confortare e illuminare chi gli si rivolge per un consiglio e un indirizzo di vita, sempre comunque pregando e facendo pregare, riferendo tutto a Dio e alla Madonna e mai come soluzione semplicistica che eviti alle persone la verità faticosa e paziente di un sincero cammino di conversione.

• È stata colta dai suoi interlocutori ma don Silvio personalmente non la esibisce affatto, anzi in qualche modo la maschera, alieno non solo da ogni forma di spettacolarizzazione, ma più fondamentalmente da qualsivoglia indebito riferimento alla propria persona. Tutto sempre egli riferisce, anche con una certa fermezza, a Dio e a Maria. Inoltre si schermisce e con molto riserbo non incoraggia le domande con cui alcune persone tentano di saperne di più.

In sintesi: il Signore lo ha colmato di innumerevoli doni, ma ciò [che] caratterizza la vita di questo “umile prete” sono le virtù: umiltà, nascondimento, povertà, carità, amore alla sofferenza, vissuta personalmente e nei fratelli; tutte virtù praticate sempre in modo eroico.

Vengo a conoscenza che un amico di un mio amico si trovava già da molti giorni ricoverato all’ospedale civile di Brescia e più propriamente in stato di coma irreversibile per una forma di infiammazione di cui non si conoscevano forme di cura portando gli stessi medici a circostanze senza alternativa alcuna. Lavorando io in ospedale mi sembrò giusto portare ai genitori affranti almeno una parola di conforto e di vicinanza. Il figlio aveva solo 29 anni. Dovendo io incontrare don Galli la sera stessa, promisi che avrei chiesto al buon prete di ricordare il figlio nelle sue preghiere. Don Galli mi rispose e questo ripetuto più volte davanti alla mia insistenza che restava poco tempo, di non preoccuparmi: «Vai a casa e stai tranquilla». Riferisco al mio amico che ho raccomandato il suo amico alle preghiere di don Galli. Enorme fu il mio stupore unito a grande gioia quando, il giorno dopo, il mio amico mi telefona per dirmi che l’ammalato, considerato in una condizione irreversibile, era improvvisamente uscito dal coma e si stava riprendendo con grande stupore e gioia di tutti.

Conclusione

Aperto incondizionatamente a Dio e al suo volere, don Silvio incarna tale atteggiamento soprattutto nella disponibilità al prossimo. E così è rimasto disponibile fino alla fine, nella totale consegna di sé.

L’incontro con don Galli segna la vita e la storia di tanti e la sua partenza per l’eternità non ha interrotto quel dialogo del cuore che era iniziato sulla terra. Fino alla fine egli rimane in ascolto del grido dei poveri, diventando strumento di Dio e ponendosi nella volontà del Padre e del suo progetto d’amore.

La sua parola d’ordine è quell’ “eccomi” fatto di disponibilità, del mettersi a disposizione, dell’essere presente per Dio e per il prossimo. La sua vita è un “santo viaggio” vissuto in fedeltà alla “voce misteriosa [che] parla al mio cuore”, nell’attenzione alla presenza di Dio, nella risposta di ogni momento alla chiamata ricevuta.

Don Silvio pertanto è, come chiede oggi Papa Francesco, un sacerdote davvero in uscita, con l’odore delle pecore. Tuttavia, se è indubbio che egli esca a cercare chi si era perduto, a visitare gli ammalati, a confortare i carcerati, ecc., è stato soprattutto un sacerdote da cui la gente accorreva: per così dire, non aveva bisogno di uscire perché erano gli altri a venire a cercarlo.
La sua vita era letteralmente assediata e mangiata viva dalle persone, cui non si sottraeva: le riceveva nel proprio studio, sul chiostro del San Bernardino. Stare alla presenza di don Silvio è per la gente fare esperienza di Dio, della sua verità e della sua consolazione, del suo “respiro”.
Don Silvio dunque è “in uscita” nella misura in cui coinvolge nel dinamismo di una attrazione verso quel centro che è Gesù, vivo in lui.
Inoltre don Silvio è sacerdote che raggiunge gli ultimi, ma non dimentica i collaboratori, che forma, a cui pensa e sta vicino con gesti di grande prossimità e concretezza.
Con la sua morte don Galli non ha terminato la sua missione. La continua in forma nuova. I legami con quelli che l’hanno conosciuto, amato e servito non si sono interrotti ma continuano su nuove lunghezze d’onda, con una prospettiva nuova, con uno sguardo più libero e una potenza più grande:

Io ho imparato a vivere serenamente, perché ci si arrabbia nella vita e si fanno anche i conti nella vita, però quando io tiro in mente quello che faceva don Galli, riesco a superare questi momenti, anche se lui non c’è.
A me manca. Mi manca per gli esempi che mi dava. Ma mi ha arricchito tanto, e tanto che io quando ho bisogno, vado davanti alla sua fotografia e gli dico: «Dai guarda, non merito, perché tante volte non ti ho capito, però, dai, così…». E allora mi aiuta.
Un’altra volta che gli dicevo: «Don Galli, ascolti… guardi che quando sarà in Paradiso, vedrà quante cose che qua non vede e che non vanno bene”. E lui mi ha preso per mano, e mi ha detto: «Senti, quando io sarò in Paradiso, pregherò quello sì, perché noi siamo là per pregare, ma non vedrò più niente di quello che succede sulla terra, perché altrimenti non sarebbe Paradiso».
Sono rimasta… come dire: certo, se io vado in Paradiso devo soffrire ancora tutto quello che… di sicuro prego, di sicuro sarò là ad aspettarvi, quando arriverete, però sarà l’unica cosa che io farò. La sofferenza di là, non c’è più, perché altrimenti non sarebbe più Paradiso, sarebbe ancora vivere in terra. Queste cose, a volte, almeno io non le pensavo, però lui mi richiamava a pensarle, era molto…
Proprio un filo diretto per me. Veramente. Erano tantissime le cose che succedevano, a me personalmente facevano pensare: «No, no, qui c’è proprio la grazia del Signore, che attraverso lui ho ottenuto», e ringrazio Dio di avermi portato qui perché, perlomeno, si vive.

prete delle beatitudini • San Bernardino - Chiari • Scuola Paritaria
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